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Ti ricordi quella volta?

Ehi calcio, sei ancora sveglio? Stavo pensando a te e… beh, pensavo di scriverti. Ti ricordi quella volta 30 anni fa? Già al primo sguardo era chiaro che stava per nascere una storia seria. Ancora oggi mi ricordo ogni dettaglio del nostro primo incontro. Il tuo profumo di birre e sigarette senza filtro, di polvere […]

Ehi calcio, sei ancora sveglio? Stavo pensando a te e… beh, pensavo di scriverti. Ti ricordi quella volta 30 anni fa? Già al primo sguardo era chiaro che stava per nascere una storia seria. Ancora oggi mi ricordo ogni dettaglio del nostro primo incontro. Il tuo profumo di birre e sigarette senza filtro, di polvere e sudore. Era un raggiante pomeriggio di maggio, quando i nostri sguardi si incrociavano per la prima volta e tu ricambiavi il mio sorriso come se fosse la cosa più scontata del mondo. Non volevo mai più stare da un’altra parte. E da quel momento abbiamo passato ore infinite insieme, negli scompartimenti di diroccati treni statali, nell’ultima fila del lamierone di turno o in sella a motorini puzzolenti, in quattro gatti sulla ringhiera di qualche campo di periferia o rotolando giù dai sedili blu del secondo anello di San Siro. Non ti ho mai tradito, non è questo il motivo, e lo sai. Ancora oggi seguo cosa fai, anche se fa male.

Cosa fai? Tu sei cambiato e io sono rimasto indietro. Non sono riuscito a tenere il tuo passo. Un calciomercato che ora apparentemente può spostare squadre intere. Aguero, l’eterno incompiuto, passa al Manchester City per 42,5 millioni. L’impeccabile Leonardo spedisce 43 millioni a Palermo per assicurarsi un giocatore dal nome Pastore. L’impero dell’universo calcistico, Barcellona, prende una cotta per un certo Alexis Sanchez ed è convinto che sarebbe in grado di rafforzare la squadra ancora di più per la modica cifra di 37,5 millioni. Il Real Madrid non può essere da meno e si aggiudica il terzino Coentrao ai saldi. Suarez dall’Ajax al Liverpool per 26,5 millioni. E poi di sicuro anche Neymar lascerà il Santos in ricambio, per il valore di una bella repubblica centroamericana con vista mare. Fair play finanziario, comproprietà con opzione di acquisto, debito, leasing, arene multifunzionali, public viewing, event sponsoring. Cribbio, da farti girare la testa.

Al PSG e City comandano gli sceicchi, al Málaga idem. A Roma e ManU ci provano i cowboy. Chelski è già diventato normalità. Il Real Madrid appartiene al fisco spagnolo e al Milan già da anni si chiacchiera di capitale „fresco“ proveniente da qualche angolo del pianeta. Anche in Germania, dove per via della regola 50+1 si salvano almeno la faccia, qualche anno fa si è aggiunto un paesino chiamato Hoffenheim alle squadre aziendali di Leverkusen e Wolfsburg. Per quanto si sa il Xamax è nelle mani di un ceceno, la proprietà del 1860 Monaco è difficilmente rintracciabile. Il Salisburgo già da tempo è proprietà di un produttore di orsetti gommosi sciolti in lattine che ha rovesciato colori della società, nome, stemma, giocatori e tutto il resto. Anche offerte plurimillionari provenienti da realtà calcistiche come gli USA o da repubbliche caucasiche solo note agli addetti ai lavori, ormai non fanno più notizia. Sepp Blatter nel frattempo vende mondiali al deserto e noi lo amiamo anche per quello.

E io? Beh, io ho vissuto una stagione in cui Ibrahimovic (ex-Ajax, ex-Juve, ex-Inter, ex-Barca, ex-Milan) è andato a Parigi portando con se anche l’unico lecito futuro capitano Thiago Silva. Robinho (ex-Real, ex-City) invece è rimasto, pur saudadato. Il barese Cassano (ex-Ovunque) ora gioca per l’altra sponda di Milano in cambio dell’altro nomade di nome Pazzini che al momento rimpiazza l’altro nerazzurro Balottelli (ex-Nullo, ex-City). Il pallone d’oro mancato Andrea Pirlo all’apice della sua carriera, ha recentemente guidato la sua prima squadra italiana ad essere eliminata dal Bayern. Mourinho, autosoprannominato „Gesù“ e „salvatore della patria“, quello che 5 minuti dopo la Champions vinta con l’Inter trattava con il nostro amico Florentino Perez il suo passaggio a Madrid, ora ha il mal di pancia e pensa di ri-trasferirsi a Londra. Sponda Chelski. Realtà storica del calcio europeo.

Massì, hai ragione quando dici che non potevi per sempre camminare in jeans strappati e t-shirt bianchi. Che ora fai carriera e guadagni soldi veri. Che sì, era parecchio cool, ma adesso sei una star e vieni idolatrata da gente di tutto il mondo, non solo da sto paio di alcolisti sfasati che ancora non sanno che cosa fare della loro vita. Ora hai giocatori che un minuto fa, sotto la curva, leccavano la tua stemma, e nella stagione prossima faranno la stessa cosa con i simboli dell’avversario storico. Neuer, Ibrahimovic, Pirlo… ex-pupilli del pubblico che nell’arco di qualche mese festeggiano i gol della squadra più odiata. Götze che probabilmente affronterà la sua prossima squadra nel finale di Champion’s. Anche Lewandowski che ieri sera ha affondato il Real Madrid con 4 gol ha già dichiarato di voler lasciare la squadra. In Germania abbiamo stadi che cambiano il nome ogni paio d’anni. Abbiamo orari per il calcio d’inizio che presto, probabilmente, saranno anche di lunedì ore 9,35 per „sviluppare il mercato asiatico“. La supercoppa a volte si gioca a Pechino. Sky trasmette la partitona del turno in 3D, e ogni santo giorno della settimana c’è da seguire qualche partita. O perlomeno qualcosa che assomiglia a una. In Italia si litiga ancora per lo scudetto del 2006, regolarmente vinto da nessuno sul campo, mentre nel frattempo si cerca di nascondere lo scandalo calcioscommesse avvenuto dopo.

No, amore, non ero in grado di tenere il tuo passo. Lì, nei tempi, quando eravamo ancora dello stesso quartiere e il nostro successo più grande era la conquista della coppa FDGB anni 50, era tutto più facile. Avevamo bisogno di 90 centesimi e se no, scavalcavamo la rete di recinzione. Prima in tribuna con papi dove, come ogni bambino, non seguivo la partita ma il puttanaio dall’altra parte, dove „facinorosi“ e „teppisti“ cantavano cose cattive e lanciavano rotoli di carta igienica o coriandoli fai da te. Tra me e te c’era al massimo la pista atletica e sugli spalti coperti di ghiaia sporgeva tutta l’erbaccia che nel giardino di casa non vorremmo. I palloni – costosi – finivano spesso (sopratutto verso la fine della partita) nel fiume dietro la tribuna, dove i vecchietti li dovevano pescare con dei bastoni lunghi. Ma perlomeno il nostro campo era abbastanza orizzontale, non come a Wernigerode dove per un tempo giocavi sempre in salita. Sai com’è, l’amore rende ciechi. Ai tempi gli U2 cantavano „Sunday Bloody Sunday“ e Bono non era ancora in giro col costume glitterato a salvare il mondo.

Mi ricordo l’ancora affascinante puzzo di sigarette disgustose della DDR che significavano „adulto“. Tipi con capelli lunghi e vestiti di jeans, sempre con una bottiglietta marrone di birra saldata in mano. Viaggi in pullman che duravano delle ore infinite perché ogni 50 metri qualcuno doveva pisciare. Trasferte idiote in sella alla „MZ“ attraversando il Sassonia-Anhalt invernale solo per scoprire che la gente di là non sapeva nemmeno che c’era una partita o che avevano uno stadio ed una squadra in città. I sempre stessi Würstel con i sempre stessi panini per 80 centesimi che dovevi pagare in contanti, mica con la tessera ricaricabile. Poi qualche stagione in Serie D nord-est per imparare che a Berlino ci sono campi sportivi dove meno te li aspetti. I biglietti venivano dal rotolo, strappati a mano dalla vecchietta nel cubicolo della biglietteria. Li compravi semplicemente così, prima della partita, senza consegnare carta d’identità, codice fiscale, prelievo di sangue ed elenco delle preferenze sessuali. Quando volevo vederti nessuno mi controllava le tasche dei pantaloni e quando era necessario picchiarsi i due poliziotti guardavano sempre nell’altra direzione. Ma non lo dovevamo documentare in rete, abbiamo naturalmente sempre vinto e basta.

Noi non avevamo delle star, ma avevamo le stelle tutte nostre. Olaf Adamczak sposava la sorella del mio amico. Ad un certo Dariusz Woscz potevo raccontare in diretta al banco di lavoro quanto ha fatto schifo domenica. I miei eroi si chiamavano Häußler, Wiermann oppure Uli Schulze. Non avevano ancora nomi sulla maglia, li riconoscevi anche così, perché giocavano per noi finché il crociato teneva o finchè la consueta birra dell’intervallo non peggiorava le prestazioni. Dopo la partita aspettavamo sotto la torre dello speaker fino a quando qualcuno aveva raccolto per telefono tutti i risultati e li leggeva per noi. Altro che internet. Perché oltre quello c’era solo la possibilità di informarsi delle partite su qualche radiostazione gracchiante alle 8 del mattino. In compenso conoscevamo il nostro posto in classifica per una settimana intera, non solo fino al posticipo serale. E le tabelle scritte a mano le tenevamo nelle tasche dei nostri pantaloni fino all’illegibilità.

Ora ho anche un bambino, non lo saprai. Ora che sei famoso. Ha 13 anni e può elencare tutti i movimenti del calciomercato degli ultimi 7 anni. Ha visto la sua squadra giocare 3 finali di Champion’s League. Ma un derby vinto 5-0 contro il Motor Quedlinburg non l‘ha mai vissuto. E mi dispiace infinitamente per lui. Un derby dove dagli spalti tuonava un „Arbeiter figlio di puttana“ per 90 minuti perché il signor Arbeiter ha osato passare 10 chilometri al rivale storico. Io mi ricordo ancora quando camminavamo giù per la strada, mano nella mano, la sciarpa bianco-verde al collo, sferruzzata dalla mamma, e qualche spicciolo in tasca. Attraversavamo i binari, all’osteria „Forelle“, giravamo a destra e poi seguivamo il fiume finchè non comparivano le torri faro dello stadio. Grazie dei bei tempi e in bocca al lupo. Volevo solo scriverti che ogni tanto ti penso. E dai, ammettilo, al 4-3 dell’Atalanta contro l’Inter hai pensato anche a me.

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